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Facciamo macro con le "compattine" - parte 2


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Purtroppo non ho ancora recuperato i dati dal vecchio e defunto computer, compreso quindi il secondo capitolo della piccola guida all'uso delle compattine che stavo terminando, ma la stagione incalza e bisogna pur tornare nel bosco con le idee chiare. Così ho ricostruito almeno la parte più importante, quella che riguarda la correzione della “temperatura colore” delle nostre immagini a distanza ravvicinata.

Dati i soggetti che fotografiamo, soprattutto se si tratta di foto che devono servire alla giusta determinazione delle specie, la taratura del colore è importante, nonostante parecchi funghi possano presentare una notevole variabilità cromatica. Se poi fotografiamo fiori è anche peggio! Ve l'immaginate un garofanino selvatico “azzurrognolo” perché ripreso in ombra?

Il nostro lavoro si svolgerà ora quasi completamente in “post-produzione”, ovvero al computer. Ho tralasciato la parte introduttiva, dove mi dilungavo su alcune note di teoria del colore, differenze tra “sintesi additiva e sottrattiva” e variazioni di temperatura del colore durante il giorno e nelle diverse situazioni climatiche; sono nozioni che potrete comunque trovare su parecchi siti o libri ed erano utili soprattutto per capire come lavorare con un plug-in (di libero dominio) per GIMP, che si chiama “Convert Color Temperature”, valido nelle più disparate situazioni quando non si utilizzi un metodo ad oc come quello che vi illustrerò e che è di gran lunga più preciso, ma, lo ammetto, un po' più lento.

 

Una nota sul programma che ho utilizzato: perché GIMP?

Posto che lo stesso lavoro può essere effettuato anche con Photoshop e con le medesime procedure, ho scelto Gimp perché è gratuito (magari con un piccolo contributo volontario, che è sempre gradito) e liberamente scaricabile dalla rete (versione “ufficiale” in lingua italiana, mica male, no?); inoltre, operando con le compatte, difficilmente avremo a che fare con file in formato RAW (magari fosse!!!) e con un po' di accortezza, se si parte da un più modesto JPG, funziona benissimo anche un programma che non gestisce (per ora) i 16 bit per canale. In altre parole, se non siamo professionisti (quindi finiremmo per utilizzare un'inezia delle reali potenzialità di Photoshop) e possiamo comunque ottenere il massimo dalle nostre foto, non ha senso cedere alla tentazione di sforare nell'illegalità scaricando una versione illecitamente sprotetta del “blasonato”. Diciamocelo: quanti di noi sarebbero disposti ad acquistarlo regolarmente per farne un uso puramente amatoriale?

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1° passo – Ricordate la famosa “mira” che abbiamo utilizzato per convincere la nostra fotocamera a focalizzare correttamente il soggetto inquadrato? Forse è giunto il momento di testare tutte le potenzialità di quella strisciolina di carta.

Se per mettere a fuoco non era necessaria una mira sofisticata, ora facciamo un passo avanti e realizziamone una che ci permetta anche di tarare il colore delle nostre immagini.

L'idea di base è che il bianco, il nero e le varie tonalità di grigio “medio” siano veramente tali solo se sono equidistanti da tutti i colori primari. Nella pratica dei programmi di fotoritocco, che lavorano preferenzialmente in RGB perché il monitor opera in “sintesi additiva”, ogni tonalità di colore viene espressa da una terna numerica che rappresenta la quantità con cui ciascun primario risulta presente in quel colore. Nel sistema RGB (acronimo di Red-Green-Blue), le tre cifre indicano appunto i valori di Rosso, Verde e Blu che, mescolati insieme, determinano quella particolare tonalità; questi valori sono compresi tra 0 (assenza di quel primario) e 255 (sua massima saturazione). Ad es.: un colore contrassegnato dalla terna R,G,B = 235,57,255 sarà tendenzialmente violetto, perché nella mescolanza predominano nettamente il rosso e il blu. Il nero assoluto sarà perciò contrassegnato da 0,0,0 mentre il bianco puro avrà i valori 255,255,255. Analogamente un grigio medio sarà contraddistinto da tre cifre uguali, ma comprese tra 1 e 254: così ad un grigio al 10% corrisponderà grosso modo la terna 230,230,230, uno al 50% sarà caratterizzato dai valori 128,128,128 e così via.

Si tratta quindi di realizzare una mira che contenga parti bianche, altre nere, altre ancora in varie tonalità di grigio medio, ad esempio al 20-50-70%, come quelle nella fotografia (abbiamo visto così che “medio” non significa a metà strada tra bianco e nero, ma equidistante da tutti i primari; un grigio chiaro e uno molto scuro possono essere entrambi “medi”).

Il problema è: una volta disegnata la mira, con quale mezzo la stampiamo?

SCONSIGLIO le comuni stampanti a getto d'inchiostro, perché quelle delle ultime generazioni utilizzano tutti i colori, anziché il solo inchiostro nero, persino per stampare quest'ultima tinta; il risultato sarà sempre un nero con una leggera dominante di questo o quel primario (e così per il grigio). Vi assicuro che è difficile ottenere valori veramente medi persino con un sistema monitor-stampante professionale perfettamente tarato.

Allora, ci perdiamo d'animo? Nemmeno per sogno; ricorriamo a sistemi meno sofisticati, magari persino più obsoleti, ma più affidabili, come una Laser monocromatica. Non avete la Laser? Stampate tutto con la getto d'inchiostro e poi fatevene fare alcune copie dal cartolaio, con la classica fotocopiatrice a toner che, essendo nero, eliminerà ogni eventuale dominante cromatica.

Solamente, mi raccomando che le copie definitive vengano stampate su carta bianca, quindi per una volta vi sconsiglio quella riciclata!!!

Poco importa se il nero non è particolarmente profondo o i grigi rivelano la classica puntinatura del retino di stampa, vedremo poi come ovviare a questo inconveniente.

Con lo stesso Gimp o, meglio ancora, con qualche programma di “grafica vettoriale” (ce ne sono anche di libero dominio, basta cercare in rete) realizzatene una pagina intera, che potrete eventualmente incollare su un cartoncino sottile e da cui all'occorrenza ritaglierete le striscioline definitive.

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2° passo – Ricordate inoltre cosa vi ho scritto a proposito dell'uso della mira per mettere a fuoco? Siccome lavoriamo su stativo e con l'autoscatto impostato, focalizziamo sulla mira, premiamo il pulsante di scatto e, mentre scorre il tempo di ritardo, togliamo con calma la mira dall'inquadratura. Bene, scattiamo ora anche una seconda foto, ma con la mira presente; questa immagine, che per comodità chiameremo “di servizio”, ci servirà appunto per calcolare i valori di correzione da impostare sulla foto “buona”.

Quassù, con il clima che continua a fare le bizze, funghi ne sono spuntati ancora pochini e non ho trovato quello giusto, come condizione di ripresa, per illustrare adeguatamente l'intero processo (anzi, ultimamente non ne ho trovati affatto!); in compenso ho scovato una bella fioritura di Cardamine pentaphyllos, fioritura che rincorrevo da almeno un paio d'anni perché dura pochi giorni e avviene contemporaneamente su tutte le piante di zona, perciò è facile mancare l'attimo.

Le foto sono state scattate in “ombra coperta”, ovvero nel sottobosco col cielo schermato dalla volta degli alberi; classica situazione per noi fungaioli, ma anche per obbligarci ad una drastica correzione della temperatura colore delle nostre immagini. Già “ad occhio” si nota un eccesso di blu.

A proposito: noterete che una mira realizzata in questo modo (riquadri da 0,5 o 1 cm di lato) assume anche una terza funzione di scala di misurazione dei soggetti che fotografiamo. Una discreta serie di funzioni per un foglietto di carta che non pesa nulla e non occupa spazio!

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3° passo – quando scarichiamo sul computer l'immagine “buona” (cioè quella senza la mira nell'inquadratura) scattata con la nostra compattina, apriamola con Gimp e convertiamola subito in una copia di lavoro nel formato nativo del programma (quello con estensione .xcf); è questa la copia che utilizzeremo per tutte le fasi di lavorazione fino ad ottenere l'immagine finale, mentre il JPG originale lo custodiremo a parte come se fosse un vero e proprio “negativo” (per ogni evenienza conservategli accanto anche il JPG della foto “di servizio”, non si sa mai). Non lavoreremo direttamente sul file scaricato dalla fotocamera perché il JPG è un formato compresso a “perdita di dati”; ovvero, ogni volta che lo elaboriamo, al momento di effettuare il salvataggio delle variazioni apportate il file si compatta, col risultato di provocare una sia pur minima riduzione di qualità che però, salvataggio dopo salvataggio, può diventare inaccettabile. Il problema non si presenta, invece, con i formati non compressi, come appunto quello nativo di Gimp (naturalmente la contropartita è un aumento del “peso” della nostra foto sulla memoria del disco rigido).

Per convertire l'immagine in un formato differente, dal menu “File” clicchiamo su “Salva come...” o su “Salva una copia...”; non utilizziamo il comando “Salva” perché andremmo a sovrascrivere il file JPG originario, con conseguente perdita di qualità. Si aprirà una maschera di salvataggio un po' meno intuitiva di quella del blasonato Photoshop, ma dopo le prime volte ci si prende la mano; qui il passaggio più importante è appunto quello per impostare il nuovo formato. Andiamo perciò in basso a sinistra, subito sopra il tasto “Aiuto”, e troveremo la scritta “Seleziona tipo di file (per estensione)” con una casellina a fianco (farla più piccola e invisibile, nooo !?!); apriamola e selezioniamo “Immagine GIMP XCF”.

Potremmo lavorare anche con l'universale formato TIF, ma Gimp non è ancora in grado di salvarlo conservando i livelli aggiunti e questo può costituire una seccatura, soprattutto se in seguito volessimo eliminare o modificare alcuni passaggi della lavorazione che, invece, risulterebbero già irrimediabilmente incorporati nel livello di base.

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4° passo – Qui inizia la lavorazione vera e propria. Apriamo il file “di servizio” (su quest'immagine non effettueremo nessun salvataggio, ci servirà solo per prelevare dati numerici, quindi poco importa se apriamo direttamente il file JPG); la mira mostrerà probabilmente evidenti retini di stampa o, come in questo caso, sarà vecchia e logora così da evidenziare micro-abrasioni diffuse sulle aree che dovrebbero presentarsi in tinta uniforme. Per omogeneizzare il tutto sfochiamo l'immagine (normalmente utilizzo un valore compreso tra 5-6 e 10-12 pixel; dipende dalla distanza a cui è fotografata la mira). Ora, dalla palette “Strumenti”, selezioniamo il “contagocce”, attiviamo la “Media di campionamento” (assieme alla sfocatura, questo renderà più “oggettiva” la misurazione), impostando un raggio compreso tra 3 e 5 pixel, e soprattutto attiviamo la casella “Usa finestra informazioni”, che è quella su cui andremo a leggere i dati numerici relativi al campionamento.

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Col contagocce andiamo ora a campionare in sequenza, sulla mira, il bianco, il nero e un grigio intermedio. Se il bianco tende ad essere troppo “sparato” per l'eccessiva illuminazione diretta, potete utilizzare in sua vece la casella più chiara tra quelle dei grigi; per la variante operativa che seguiremo, questa sostituzione non è particolarmente importante.

Per ciascuna campionatura andremo a leggere, sotto la casella “Punto” della finestra informazioni che si aprirà automaticamente all'atto del ”prelievo”, i valori corrispondenti, che per questa immagine sono: bianco = 184,212,243 ; grigio = 93,112,154 ; nero = 23,30,46. Annotiamo questi valori e chiudiamo, senza salvarla, l'immagine “di servizio”; la sua funzione termina qui.

Osserviamo le terne numeriche che abbiamo appena annotato: ciascuna di esse dovrebbe essere costituita da cifre identiche, ma il sensore della fotocamera non è in grado di correggere automaticamente la temperatura di colore presente sulla scena, quindi ci ritroveremo una sfasatura, a volte molto evidente, fra i valori corrispondenti ai tre primari.

La filosofia di lavoro è quella di prendere, per ogni terna, una cifra come riferimento e riportare a quel valore le altre due; correggendo rispettivamente un punto per le ombre, uno per i toni medi e un terzo per le luci, otterremo in realtà una correzione continua sull'intera gamma, che sarà perciò valida tanto per l'immagine “di servizio” quanto per quella “buona”, nonostante in quest'ultima non sia presente la mira campionata.

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Apriamo quindi l'immagine “buona” e vediamo in che modo possiamo procedere per effettuarne la correzione.

Normalmente si consiglia di utilizzare, come riferimento, la cifra più bassa della terna corrispondente al nero, quella intermedia del grigio e quella più alta per il bianco, ma io tratto spesso quest'ultimo come il precedente, per non rischiare di ottenere luci troppo marcate, come si vede dalla differenza tra le due immagini: quella di sinistra col bianco impostato al valore medio, quella di destra al valore più elevato.

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Chi lavora con sistemi di questo tipo consiglia solitamente di tarare i valori del bianco e del nero con lo strumento “Livelli”, per poi aggiustare la tonalità di grigio con le “Curve”; è sicuramente un metodo più veloce, ma per dovere di cronaca vi illustro ora il problema a cui spesso si va incontro. Attivo perciò lo strumento “Livelli” dal menu “Colori”. La maschera che compare presenta una casella denominata “Canale” e preimpostata alla voce “Valore”. Al di sotto di questa, la maschera stessa è divisa grosso modo in due sezioni: “Livelli di ingresso” (dove imposterò i dati rilevati con il contagocce) e “Livelli di uscita” (dove andrò ad operare la correzione). Entrambe le sezioni presentano due caselle numeriche alle estremità (quella in “ingresso” ne presenta anche una centrale che qui non utilizzeremo): a sinistra quella del valore corrispondente al nero, a destra quella per il bianco.

In base al rilevamento eseguito ho deciso di portare i valori di tutti i primari a 212 per i riquadri bianchi della mira (e aree con tonalità simili nell'immagine “buona”), 112 per il grigio e 23 per il nero (qui desidero mantenere le ombre un po' più marcate, ma alle volte è preferibile utilizzare il valore medio anche per il nero).

Apro la voce “Canale” dove posso selezionare singolarmente ciascun primario: inizio impostando il Rosso e immetto i valori per la sua correzione nella taratura del punto bianco e di quello nero.

Nella parte destra della maschera inserisco 184 (quello rilevato nell'immagine di partenza) come livello di ingresso e 212 (il valore corretto) in uscita per la saturazione del rosso nelle aree bianche. Ripeto, a sinistra, la correzione per le aree nere, utilizzando come riferimento il valore più basso della corrispondente terna, che è proprio quello del Rosso, perciò inserisco 23 sia in ingresso che in uscita (inseriamo sempre i valori di taratura, anche quando coincidono sia in ingresso che in uscita e, perciò, non verranno corretti).

Seleziono ora il “Canale” verde e ripeto le operazioni impostando 212 per il bianco (in entrambe le caselle perché in questo caso il valore medio è proprio quello corrispondente al verde) e 30 (originale) 23 (corretto) per il nero. Termino l'operazione con il “Canale” blu immettendo 243 e 212 per il bianco, 46 e 23 per il nero.

Finora ho semplicemente riequilibrato la saturazione dei tre primari nelle aree bianche e nere della mira e, perciò, in tutti i punti dell'immagine “buona” che presentano tonalità simili; naturalmente l'intera gamma avrà subito uno spostamento al seguito di queste due aree, ma per affinare il lavoro rimane da tarare un punto intermedio, il grigio, che non è possibile calibrare numericamente con lo strumento “Livelli. Tuttavia anziché premere il tasto “OK” per poi aprire la maschera “Curve”, premo la barra contrassegnata dalla scritta “Modifica queste impostazioni come curve”, che attiva un passaggio diretto mantenendo in evidenza, sul grafico, l'effetto delle correzioni appena realizzate.

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Scelgo anche qui il “Canale” del primario con cui iniziare a lavorare e mi accorgo subito della sorpresa (che non sarebbe stata evidenziata sul grafico se avessi chiuso la maschera dei “Livelli” prima di aprire le “Curve”)!

Come potete notare, la correzione mediante i “Livelli” ha letteralmente eliminato, per ciascun primario, tutti i valori al di sopra della variazione apportata per il bianco, e al di sotto di quella applicata per il nero.

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Ciò significa che, se nell'inquadratura originaria erano presenti zone d'ombra più scure delle caselle nere della mira, queste risulteranno schiarite al livello della taratura del nero (e io che volevo mantenere le ombre marcate!?!); analogamente, le aree eventualmente più luminose rispetto ai riquadri di carta bianca della mira risulteranno “spente”.

Nella foto in questione non c'erano aree più chiare, mentre sulle ombre, per fortuna, la gamma di compressione questa volta è piccola e perciò la perdita è praticamente impercettibile sulla maggior parte dei monitor delle ultime generazioni. Tuttavia allego ugualmente una doppia immagine di confronto perché chi lavora su uno schermo a basso contrasto, come quello del portatile che ho sotto mano, potrà ugualmente notare che le ombre profonde, tarate col metodo appena descritto (a sinistra) anziché utilizzando, come vedremo tra poco, unicamente lo strumento “Curve” (a destra), oltre ad essere schiarite hanno subito anche una fastidiosa, seppure leggera, perdita di dettaglio e l'intera immagine presenta un aspetto più slavato.

Qualcuno ricorderà certamente, ad esempio, le foto con neve e ghiaccio che ho postato in inverno; In casi come quelli, molti punti presentano una riflessione sicuramente maggiore della carta bianca della mira; se andiamo a comprimere le alte luci in fase di taratura del colore, rischiamo di far perdere alle nostre foto quella brillantezza che costituisce la caratteristica più interessante di molti soggetti invernali.

Scusate se sono stato prolisso su questo punto, ma poiché non esiste un solo percorso per raggiungere i risultati voluti, ogni strada che imbocchiamo deve essere la conseguenza di una scelta ragionata, non la pedissequa esecuzione di un comando “da manuale”; perciò valutate la situazione di volta in volta e utilizzate i livelli solamente quando siete sicuri che le aree bianche e nere campionate sulla mira sono EFFETTIVAMENTE quelle più chiare e più scure presenti nell'immagine, oppure se l'effetto di compressione è ciò che desiderate, altrimenti procedete come segue.

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Per ottenere un risultato ottimale dovremo lavorare perciò solamente con lo strumento “Curve”. Questo si presenta con una maschera che contiene un classico grafico cartesiano in cui è inserita una retta diagonale che parte dal valore 0 per il nero (in basso a sinistra), e termina al valore 255 (in alto a destra) per il bianco; una volta apportate le modifiche, questa retta si presenterà appunto come una curva continua, da cui il nome dello strumento. Muovendo il cursore all'interno del grafico vedremo attivarsi una casellina nera con l'indicazione delle coordinate della posizione del puntatore. Il primo valore (x) varierà ovviamente spostando il mouse orizzontalmente; il corrispondente asse delle ascisse contraddistingue i valori originari (come per i “Livelli di ingresso”) presenti nell'immagine. Il valore delle ordinate, che altrettanto ovviamente varierà muovendo verticalmente il mouse, indica invece la correzione apportata.

Se ad esempio vogliamo correggere il valore 184 del Rosso per riportarlo a 212, una volta attivato il “Canale” corrispondente (nella solita, apposita casella), il principio è quello di cliccare idealmente sul punto della retta contrassegnato dai valori “x:184 y:184” e trascinarlo verso l'alto fino al punto “x:184 y:212”. In realtà non è molto importante il punto da cui partire; se infatti clicchiamo al di fuori della retta, questa si modificherà automaticamente per “agganciarsi” al puntatore. È estremamente importante invece l'esattezza del punto d'arrivo, dove rilasciare il pulsante così da bloccare l'ancoraggio nella posizione i cui valori x-y mi suggeriscano che “il punto 184 è stato corretto in 212”. Ovviamente, se disponiamo di un mouse un po' farlocco saremo tentati di imprecare più volte e, comunque, ripetere l'operazione per tutti i valori ci porterà via un po' più di tempo di quanto se ne impiega con i “Livelli”, ma ne varrà la pena.

Noterete che alle estremità della retta esistono già due punti di ancoraggio; per ciascun Canale il grafico ne supporta solamente altri tre, che corrisponderanno alle variazioni per i punti bianco, nero e grigio rilevati sulla mira. Ripetiamo quindi, anche per i valori rimanenti, l'operazione appena vista.

La curva così ottenuta mostra una correzione del Rosso sull'intera gamma tonale dell'immagine, ma soprattutto conserva i tratti estremi, cioè le ombre profonde e le alte luci.

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Correggiamo adesso il “Canale” verde e quello blu che, come avevamo immaginato, oltre ad essere quello maggiormente sfasato, necessitava di una drastica riduzione di saturazione.

Salviamo quindi le correzioni apportate.

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Gimp mantiene in memoria l'intero set di correzione per tutta la sessione di lavoro, perciò se avessimo altre immagini del medesimo soggetto (io avevo la pianta intera e un particolare del singolo fiore) che non presentino variazioni apprezzabili nella resa della temperatura colore, potremo trattarli automaticamente, richiamando lo strumento “Curve”, aprendo il menu “Preimpostazioni” e cliccando sul set relativo che, tuttavia, sarà memorizzato solo in sequenza numerica (senza un nome particolare e distintivo). Ciò significa che, se nella medesima sessione di lavoro abbiamo impostato più set di correzione per differenti soggetti, Gimp li avrà inseriti tutti nella memoria temporanea, quindi potremmo avere qualche difficoltà nel richiamare quello giusto. In questi casi, conviene salvare manualmente il nostro set appena creato, cliccando sul segno “+” a destra del menu, così da poterlo definire con un nome appropriato ed univoco. In tal modo Gimp lo manterrà in memoria a tempo indefinito; quando non ci servirà più, cliccheremo sulla casellina ancora più a destra (ok, è un po' macchinoso) e, da “Gestione impostazioni” potremo selezionarlo ed eliminarlo.

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La taratura del colore è terminata ma, alle volte, è possibile che alcune particolari sfumature (soprattutto le tonalità tra viola e lilla) non siano ancora perfette (in questo caso non dipende dalla temperatura colore della scena, ma dalle caratteristiche del sensore; un piccolo difetto “congenito” dal quale anche molte vecchie pellicole non andavano esenti); basterà qualche ritocco con gli strumenti “Bilanciamento colore” e “Tonalità-saturazione”, magari applicati su una maschera creata ad oc, per risolvere la situazione.

Ma ora, già che ci sono, vi mostro un altro paio di semplici passaggi per rendere al meglio le nostre foto.

Innanzitutto, è probabile che l'immagine manchi ancora di quell'attimo di brio e di profondità che ce la restituiscano così come si presentava dal vero. In questi casi è utile aggiungere un tocco di “contrasto locale”, basato cioè non sul rafforzamento dei soli bordi o del chiaroscuro globale, bensì delle tante, piccole aree adiacenti, ma di tonalità leggermente differente, di cui si compongono le “masse” di diversa luminosità (le zone d'ombra soprattutto, ma anche i toni medi e le alte luci).

Assicuriamoci che sia attiva la “Finestra dei livelli” nella palette a destra; clicchiamo col tasto destro del mouse sul livello attivo (che finora sarà anche l'unico) e scegliamo “Duplica livello”.

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Ora, col livello duplicato attivo, dal menu “Filtri” - “Miglioramento” selezioniamo la “Maschera di contrasto” che tuttavia utilizzeremo in un modo un po' diverso dal solito.

Poiché dobbiamo aumentare il contrasto tra intere micro-aree, non solamente sui bordi, aumentiamo il “Raggio” della nostra azione ad un valore compreso tra 70-80 e 100-120 pixel, mentre abbasseremo il valore di “Ammontare”, cioè della forza da dare all'effetto, tra 0,30 e 0,50. Gimp non è veloce come Photoshop, per completare questa particolare operazione può richiedere addirittura alcuni minuti e, su computer un po' febbricitanti com'era il mio vecchio catorcio, potrebbe persino mandare in crash il sistema, ma vedo che sul portatile di mia figlia funziona bene.

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