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LA REALTÀ MACROLEPIOTA PROCERA


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Ciao a tutti

 

non potendo recuperare integralmente tutto il contenuto del messaggio , ne riporto quanto disponibile , significando che questa revisione risale ad almeno sette anni orsono mentre il documento originale è vecchio di venti anni ed è stato publicato sulla rivista di H.C. Micologia Veneta di Padova, ormai , purtroppo , inesistente. H.C. sta per Helvella crispa . Qualcuno di Padova forse lo conosce meglio di me.

 

Ecco il testo parzialmente rivisto.

Un saluto al Moderatore distratto.

 

Enzo.

 

Macrolepiota procera o mazza di tamburo.

 

 

LA REALTÀ MACROLEPIOTA PROCERA ( Macrolepiota procera o Mazza di tamburo ? )

 

Ecco una breve descrizione del nostro fungo.

 

Cappello inizialmente globoso (da cui il nome di mazza di tamburo) poi campanulato, convesso ed infine piano, con dimensioni medie, medio grandi fino ad enormi (8-30 cm di larghezza). La superficie è coperta da squame e diffratta verso il margine, la colorazione, pur variabile, è compresa tra il crema, il bruno ed il marrone (tipico al centro del cappello). Le squame, piccole e grandi, lasciano intravedere la sottostante carne di colore bianco-crema o crema- rosato.

Le sottostanti lamelle, con inserzione al gambo a forma di collario, sono larghe, numerose, da bianche a crema. Il gambo è tipicamente e caratteristicamente coperto trasversalmente da bande brune alternate a zone bianche del cortice sottostante. È presente un evidente anello, di tipo doppio, scorrevole. Le dimensioni del gambo sono notevoli e comprese tra i 15 e i 30 cm di lunghezza mentre il diametro varia nell'intervallo 2-4 cm, con un bulbo basale ancora più grande. L'odore ed il sapore sono gradevoli, molto prossimi a quello della nocciola. Il cappello è commestibile eccellente mentre il gambo, fibroso, viene scartato ma da alcuni utilizzato secco dopo averlo finemente frammentato.

 

 

LA MAZZA DI TAMBURO ( MACROLEPIOTA PROCERA ). UN ECCELLENTE FUNGO DESTINATO A DIVENTARE PERICOLOSO PER LEGGE.

STORIA, REALTÀ E FANTASIA

 

di Vincenzo Migliozzi e Gianfranco Cantoni

 

Vogliamo proprio partire dalla provocatorietà del titolo di questo articolo per attirare la necessaria attenzione dei lettori su uno dei pochi funghi che gli oltre centomila "fungaroli" di Roma e Lazio fino a poco tempo ORSONO ben conoscevano, che forse ancora conoscono ma che, soprattutto, devono in futuro continuare a ben riconoscere indipendentemente da quanto legiferato in modo quanto meno non prudente (L.R. 32/98).

Se volessimo chiedere ai nostri amici raccoglitori quali siano le specie che loro raccolgono e mangiano, potremmo dire che le loro risposte, statisticamente, comprenderanno sempre pochissimi nomi, quali l'ovulo buono (la deliziosa Amanita caesarea), il porcino (uno dei quattro boleti del gruppo edulis con pori bianchi negli esemplari giovani), il chiodino, il prataiolo ed infine la mazza di tamburo. Se poi il nostro amico interrogato fosse anche cacciatore, risponderà sempre allo stesso modo, invertendo però l'ordine e mettendo la mazza di tamburo (o Macrolepiota procera) al primo o al secondo posto proprio perché questo fungo non può passare inosservato né può sfuggire all'attenzione di chi, durante le battute di caccia, si sposta tra prati, radure, macchie e boschi aperti, tutti habitat ideali per la crescita dell'oggetto di questa breve nota.

A questo punto e stando così le cose, viene spontaneo chiedersi del perché di questa chiacchierata se tutti, e bene, conoscono e riconoscono questo fungo.

La risposta è da ricercare nel testo della recente Legge Regionale del Lazio, nota come 32/98 "Disciplina della raccolta e della commercializzazione dei funghi epigei spontanei e di altri prodotti del sottobosco." È ormai ben noto a tutti (fungaroli e cacciatori) che, da poco tempo, chi vuole andare a funghi, nel Lazio, può e deve farlo nel pieno rispetto di quanto legiferato dalla appena citata Legge e siccome la stessa è stata redatta da "comuni mortali", e non da "padreterni" (senza che nessuno si senta minimamente ma giustamente ridimensionato), è probabile, anzi possibile, sicuramente certo che la Legge contenga non poche imperfezioni, in alcuni casi estremamente pericolose perché possono realmente indurre in errore chi interpreti quelle parole alla lettera.

Una imperfezione riguarda le dimensioni minime che devono essere in possesso di alcuni funghi per essere raccolti e ci riferiamo proprio alla mazza di tamburo. L'iniziativa delle dimensioni minime, pur estremamente lodevole nelle intenzioni, anche se poi è risultata particolarmente indigesta ai raccoglitori (come responsabile e docente ai corsi di formazione per il patentino, ho avuto modo di ascoltare il parere di 2000 raccoglitori poi patentati), nel caso della Macrolepiota procera diventa addirittura pericolosa perché può indurre ad errori che possono avere conseguenze addirittura tragiche.

È il caso di essere più precisi. La L.R. 32/98, art. 3, comma 2 dice: "al fine di impedire la raccolta di esemplari fungini immaturi o troppo piccoli, sono stabilite le seguenti dimensioni minime del diametro del carpoforo:

…………….omissis…………………

d) Macrolepiota procera e simili (mazza di tamburo) cm 5".

Ma i micologi sanno che "simili" alla Macrolepiota procera e alle macrolepiote ci sono le lepiote che, pur possedendo dimensioni inferiori, sono molto simili nell'aspetto macroscopico alle macrolepiote. Queste piccole lepiote, volgarmente note come "lepiotine" (ma che possono raggiungere dimensioni di 5-6 ed anche 7 cm di cappello!! ), vere micrososia della procera, sono estremamente pericolose per la salute pubblica e sono tutte specie frequenti ed abbondanti nella nostra Regione. Di esse una decina sono velenose mortali (sic!), altrettante sono solamente velenose e molte altre ancora sono tossiche!! C'è quindi, e giustamente, da stare in allerta. E allora come fare? Per superare l'infelice scelta di parole del legislatore, ovviamente malconsigliato, è stata personalmente proposta una modifica anche di tale punto direttamente agli Organi competenti (Regione Lazio, Assessorato all'Agricoltura). La modifica proposta e le considerazioni relative sono qui riportate integralmente. L'intero documento con tutte le modifiche proposte (che non sono poche) è comunque disponibile per tutti.

Ecco la modifica proposta:

"-Macrolepiota gruppo procera (mazza di tamburo) in cm 5, a condizione che la lunghezza del gambo superi i cm 10, al fine di evitare confusione con le velenose Lepiota di piccole dimensioni;".

È chiaro in questa maniera che così facendo si ha la certezza di non poter assolutamente confondere le macrolepiote con le "piccole" lepiote e quindi di annullare qualsiasi rischio di avvelenamento ad esito letale!

 

 

LA STORIA DELLA MACROLEPIOTA PROCERA

 

Quando nel 1899 il nostro più grande micologo, l'abate Giacomo Bresadola, elaborando i 'Funghi mangerecci e velenosi", unico suo testo a carattere divulgativo tra tante opere scientifiche, descrisse, alla tavola n. 13, la Lepiota procera, ne riportò un lungo elenco di nomi volgari di tutte le regioni d'Italia.

Per semplice curiosità ne riportiamo alcuni: Bubbola maggiore, Mazza di tamburo, Parasole, Tobbia, Ombrela, Umbrilein, Madonin, etc.

La dovizia in nomi volgari crediamo sia quanto meno segno o testimonianza di un non indifferente grado di conoscenza, già nel secolo scorso, di questa bella ed ottima, dal punto di vista culinario, specie di Lepiota.

Certamente, nell'anno in cui Giacomo Bresadola stilava il sopracitato testo, le conoscenze micologiche erano non diciamo nulle, ma quantomeno ridotte; già da allora, però, si stavano lentamente gettando le basi di questa scienza di cui ancora oggi, nonostante i mezzi e i metodi di studio, non si intravvedono esattamente limiti e regole.

Già nel 1772 J.A. Scopoli aveva fornito, in "Flora Carniolica', la prima descrizione della nostra Lepiota sotto il nome di Agaricus procerus.

Un secolo più avanti, nel 1888, J.B. Baria, in 'Champignons des Alpes maritimes', creava la varietà fuliginosa, attualmente elevata a rango di specie.

L'individuazione di specie a vicina morfologia provocava la creazione di una stirpe Procera nella quale venivano ad essere inserite quelle Lepioteae (sarebbe più corretto dire Leucocoprineae) di grandi dimensioni per le quali R. Singer avrebbe creato il genere Macrolepíota.

Dette specie, dotate di spore metacromatiche in bleu di cresile e di vistose dimensioni, sono macroscopicamente caratterizzate da squame pileiche spesso notevoli, da anello doppio o complesso e da gambo dotato di screziature brune tali da ricordare, come ci fa osservare l'abate Bresadola, la pelle di un serpente; infatti Bulliard aveva usato il nome di Agaricus colubrínus.

Ciò premesso, crediamo che siano pochi gli amici lettori che, bene o male, non sappiano individuare in modo più o meno approssimativo la nostra Macrolepiota procera.

Molti, in modo particolare nelle zone mediterranee, interpretano come tale la Macrolepiotafuliginosa, quella cioè che J.B. Barla aveva descritto come Lepiota procera var. fuliginosa, o viceversa.

Altri rimangono perplessi nell'osservare alcune forme o manifestazioni ma senza perderci eccessivo tempo in considerazione del fatto che la fine in padella sarà poi sempre la stessa. Qualcuno di noi, invece, con velleità meno culinarie e un tantino più scientifiche, proverà a determinare, magari con la pretesa della certezza, qualche esemplare dall'aspetto più dubbio cercando di districarsi tra Macrolepiota procera, fuliginosa, olivascens, prominens e permixta, per la qual cosa rimandiamo all'utilizzazione della chiave dell'amico Marceí Bon, amico nel senso che risulta essere il creatore di numerose chiavi analitiche in grado di semplificare il difficile compito di determinazione dei micologo quasi sempre in forte imbarazzo.

Peraltro non ignoriamo che anche la ben nota (ai micofagi) Mazza di tamburo, altrettanto nota (ai micologi) come Macrolepiota procera(Scopoli: Fries) Singer, nasconda anch'essa, come qualsiasi altra specie, delle difficoltà di determinazione, in questo caso dovute, probabilmente, ad una discreta gamma di graduali variazioni morfologiche. Con facilità si riescono ad intravedere le forme estreme, ma quelle intermedie lasciano perplesso e scettico il determinatore, a meno che lo stesso non sia ispirato da un irragionevole pressappochismo o da un forte desiderio di disinvolta fantasia.

Eravamo partiti dall'Agaricus procerus di Scopoli (1722) e siamo arrivati alla stirpe procera di Bon (1981). E in futuro?

Personalmente crediamo che per M. procera il futuro sia già arrivato nel momento stesso in cui abbiamo ricevuto, da parte dei dr. D. Pázmany l'estratto di un suo recente lavoro in merito alla variabilità di M. procera. Noi crediamo che tale lavoro, pur fondamentalmente corretto e perfetto, sia leggermente all'avanguardia. Nell'articolo in oggetto, infatti, il dr. D. Pàzmany di Cluy-Napoca (Romania), studioso dei genere ed autore di importanti contributi sulla flora micologica della Transilvania, crea una serie di nuove varietà e forme della Macrolepiota procera.

In proposito dobbiamo fare osservare che la micologia è sempre stata in una continua, costante e accelerata evoluzione e nulla ci fa ragionevolmente pensare che una tale situazione debba cambiare.

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