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Apicoltura, un passo alla volta....


Gibbo

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Da anni ripetiamo che il numero di api (e in generale di insetti impollinatori) è in declino, complici soprattutto parassiti e fattori antropogenici (cioè dovuti all’uomo), come l’uso di pesticidi e la distruzione dell’habitat. Tuttavia gli ultimi dati FAO (Food and Agricultural Organization) sulla presenza di arnie nel mondo contrastano con questa visione e restituiscono un quadro non così catastrofico, rilevando un aumento del numero di arnie in Africa, nelle Americhe e soprattutto in Asia, e registrando una tendenza negativa solo in Europa. Come mai?

Le api sono meno a rischio di quanto crediamo? Purtroppo no Il grafico il numero di arnie (in milioni) censite in diversi continenti nel 1969 e nel 2019. © FAO | Statista

Per chiarire la questione abbiamo sentito due esperti sul tema: Guido Agostinucci, direttore operativo della sede FAO in Georgia, e Daniela Lupi, professoressa associata presso il dipartimento di Scienze per gli alimenti, la nutrizione e l’ambiente all’Università degli studi di Milano.

Censimenti mancati. «La FAO raccoglie i dati trasmessi dai governi dei diversi Stati del mondo», spiega Agostinucci: «Il problema è che in molti Paesi in via di sviluppo, come l’Asia o l’Africa, i sistemi di censimento sono migliorati solo negli ultimi dieci o venti anni, e fino a qualche anno fa non erano affidabili». I dati FAO di Asia, Africa e Sudamerica risulterebbero dunque “falsati” dal mancato o errato conteggio delle arnie negli anni passati: se così fosse, il loro numero non sarebbe realmente aumentato.

Arnie, non api. Un’altro aspetto su cui riflettere è l’oggetto del censimento: non le api in senso assoluto, ma le arnie. «Ogni arnia di apis mellifera (le “classiche” api da miele) può contenere da 10.000 a 60.000 esemplari», spiega Agostinucci. Un’arnia però, a fini statistici, vale sempre uno, a prescindere dal numero di api che contiene: è chiaro che, se vogliamo calcolare il numero di api nel mondo, otto milioni di arnie da 10.000 esemplari non equivalgono certo a otto milioni di arnie da 60.000 esemplari.

Rimpiazzi. «Credo che questa statistica non tenga nemmeno conto delle arnie che vengono sostituite», sottolinea Lupi. «Ogni anno, complice l’influenza di fattori antropogenici e parassiti come il Varroa destructor, gli apicoltori perdono diverse arnie, che però sostituiscono per mantenere il livello di produzione». A fine anno, però, le arnie perse non vengono dichiarate, e non sono quindi riflesse nel conteggio finale.

Le api sono meno a rischio di quanto crediamo? Purtroppo no L’immagine illustra la perdita (in %) di colonie di api da miele nel 2008 in diverse zone degli Stati Uniti. © vanEngelsdorp et Al. 2008

È dunque vero che le api, sia selvatiche sia allevate, sono a rischio? «Assolutamente sì», conferma Lupi, che qualche anno fa ha tenuto una conferenza sul fenomeno del colony collapse disorder (CCD, in italiano sindrome dello spopolamento degli alveari). La tendenza, purtroppo, è al ribasso da tempo: uno studio del 2008 aveva già rilevato un notevole calo nel numero di colonie di api da miele negli Stati Uniti, con percentuali che in alcuni Stati superavano il 50% (nel grafico qui sopra il quadro del 2008).

Biodiversità in calo. Le api sono dunque in generale insetti a rischio, ma all’interno di questo quadro negativo la situazione più tragica è quella delle api selvatiche: «I fattori che determinano la moria di api sono gli stessi, ma le api selvatiche ne risentono più di quelle allevate, perché vivono in luoghi non antropizzati», afferma Agostinucci, facendo riferimento in particolare alla distruzione dell’habitat e alla perdita di biodiversità che impedisce alle specie selvatiche di impollinare. Il calo nella varietà di fiori selvatici incide infatti sulla salute delle api, che si ritrovano con poche specie vegetali da impollinare: al contrario, piante diverse garantiscono fioriture in epoche diverse, e quindi cibo per tutto l’anno per gli insetti impollinatori.

Impollinazioni alternative. Se è vero che l’Europa ha proibito da tempo (tramite il regolamento 1107/2009 e il PIC regulation) diversi pesticidi di cui si è fatto largo uso tra gli anni Settanta e Novanta, l’uso di neonicotinoidi, molto dannosi anche in quantità infinitesimali, è stato ristretto (ma non proibito totalmente) solo nel 2018. Molti Paesi, come la Cina o l’India, hanno iniziato a proibire l’uso di alcuni pesticidi da pochi anni, e i danni di decenni di uso indiscriminato si vedono: «In Cina, così come in California, c’è una tale carenza di impollinatori che esistono aziende che si dedicano a trasportarli durante la stagione della fioritura, affinché possano impollinare mandorli e noci nelle coltivazioni», spiega Agostinucci, sottolineando che in alcune zone della Cina, a causa dell’indiscriminato uso di insetticidi e pesticidi, gli agricoltori si vedono costretti a impollinare a mano.

Insomma, la situazione non è affatto migliorata, anzi: come succede nel caso di emergenze che non causano morti o danni immediati e visibili (come i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale), rischiamo di accorgerci di quanto andava fatto quando sarà ormai troppo tardi. Le api non sono solo produttrici di miele: lo ricordava già nel 1901 il drammaturgo belga Maurice Maeterlinck, citato dalla professoressa Lupi in apertura alla sua conferenza sul CCD, con una frase che riportiamo, sperando serva da monito: “Se le api sparissero dalla faccia della Terra, agli uomini rimarrebbero appena quattro anni di vita”

Chiara Guzzonato
Fonte: Focus Sempre da Apicoltore Moderno

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Interessante. 
Io negli ultimi anni sto adottando sempre più un approccio molto molto limitato negli interventi su di loro, e soprattutto mi sto sempre più convincendo che è importante non inserire negli apiari  famiglie o regine che vengono da altri luoghi. Mi sto sempre più convincendo che la loro specializzazione nel tempo è una forza da valorizzare. Imparano a vivere negli habitat complessi sfruttandone proprio la varietà e la complessità a proposito favore.  Polline e nettare non solo vario ma anche in tempi diversi struttando sia le varie quote a cui arrivano, che i microclimi in cui vivono le piante, ed avendo così tempi molto lunghi di bottinamento e disponibilità. Forse sta proprio qui il limite delle monoconture e dei territori estesi con clima unico, in fatto che loro abbiano minori variabili da gestire. Ed anche il fatto che i nostri interventi su di loro rischiano di essere di intralcio alla lunga, al loro modo di gestire l’alveare.
Sono certo considerazioni mie fatte sulla limitata esperienza di un solo luogo. Ma credo che per chi ha poco tempo non ci sia possibilità di imparare niente da loro se non concentrandosi su un numero limitato di famiglie e di apiari. 
Il resto lo fa la capacità di vedere e di essere curiosi, quindi di saper leggere come si muovono al di fuori dell’alveare. 
Mi sto convincendo sempre più che la maggior parte degli apicoltori intervengano e si concentrino troppo sulla vita all’interno dell’alveare, cosa che a mio avviso andrebbe lasciata a chi lo fa professionalmente e invece non guardi la vita dell’ape all’esterno. Gli habitat. E qui potremmo parlare a mesi perché negli anni abbiamo visto come cambia totalmente il loro comportamento al variare del luogo dove vivono. 
Al mio orto i vicini tagliarono molti alberi per pulire e coltivare, e le api oltre che a pinzarli spesso passarono dur pessime annate. Una delle nostre stazioni in vallata, la stessa cosa. Il ragazzo che ha le api con noi ripuli da piante e cespugli un gran pezzo di terreno (stravolgendo tutto il luogo) seminando fiori e fiorellini per loro…., beh sarà un caso ma quella che era la migliore stazione oggi sono anni che non è più la stessa. Ci sono equilibri che vanno ben oltre quello che limitatamente crediamo sia positivo per loro. 
Buona giornata 

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Il 8/2/2022 at 07:56, Gibbo ha scritto:

Interessante. 
Io negli ultimi anni sto adottando sempre più un approccio molto molto limitato negli interventi su di loro, e soprattutto mi sto sempre più convincendo che è importante non inserire negli apiari  famiglie o regine che vengono da altri luoghi. Mi sto sempre più convincendo che la loro specializzazione nel tempo è una forza da valorizzare. Imparano a vivere negli habitat complessi sfruttandone proprio la varietà e la complessità a proposito favore.  Polline e nettare non solo vario ma anche in tempi diversi struttando sia le varie quote a cui arrivano, che i microclimi in cui vivono le piante, ed avendo così tempi molto lunghi di bottinamento e disponibilità. Forse sta proprio qui il limite delle monoconture e dei territori estesi con clima unico, in fatto che loro abbiano minori variabili da gestire. Ed anche il fatto che i nostri interventi su di loro rischiano di essere di intralcio alla lunga, al loro modo di gestire l’alveare.
Sono certo considerazioni mie fatte sulla limitata esperienza di un solo luogo. Ma credo che per chi ha poco tempo non ci sia possibilità di imparare niente da loro se non concentrandosi su un numero limitato di famiglie e di apiari. 
Il resto lo fa la capacità di vedere e di essere curiosi, quindi di saper leggere come si muovono al di fuori dell’alveare. 
Mi sto convincendo sempre più che la maggior parte degli apicoltori intervengano e si concentrino troppo sulla vita all’interno dell’alveare, cosa che a mio avviso andrebbe lasciata a chi lo fa professionalmente e invece non guardi la vita dell’ape all’esterno. Gli habitat. E qui potremmo parlare a mesi perché negli anni abbiamo visto come cambia totalmente il loro comportamento al variare del luogo dove vivono. 
Al mio orto i vicini tagliarono molti alberi per pulire e coltivare, e le api oltre che a pinzarli spesso passarono dur pessime annate. Una delle nostre stazioni in vallata, la stessa cosa. Il ragazzo che ha le api con noi ripuli da piante e cespugli un gran pezzo di terreno (stravolgendo tutto il luogo) seminando fiori e fiorellini per loro…., beh sarà un caso ma quella che era la migliore stazione oggi sono anni che non è più la stessa. Ci sono equilibri che vanno ben oltre quello che limitatamente crediamo sia positivo per loro. 
Buona giornata 

E oggi il Lupone mi gira questo articolo!! Dove c’è scritto di una ricerca che dimostra molto di quelle che erano le mie impressioni scritte qui sopra l’altra sera. Le soddisfazioni di essere sulla strada giusta…. Son contento 

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Modificato da Gibbo
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Infatti dobbiamo cercare di aumentare i ceppi di api in loco operazione che faremo se avrò tempo faremo regine solo di una postazione per volta portandole a fecondare dalla postazione dove sono state prelevate le larve per fare le regine fase importante poi per alcune postazioni proveremo la differenza genetica visto l'area dove avviene la fecondazione per la presenza di più apicoltori nelle vicinanze  avremo una notevole diversità genetica................ad esempio sofignano faremo regine da larve e poi  fecondate lì come in postazione di migliana visto che una si adattata bene al luogo come quelle di gavazzoli mentre in pianura adotteremo una mescolanza genetica atta alla ricerca di regine che poi potremo provare nelle altre postazioni in modo da verificare la lorol adattabilità ad i diversi ambienti....................Questo sarà il  nostro programma apistico della nostra avventura apistica......lunga strada per arrivare ad avere i risultati con due fattori tempo e un pizzico di fortuna..................

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5 ore fa, Lupo di Toscana ha scritto:

Infatti dobbiamo cercare di aumentare i ceppi di api in loco operazione che faremo se avrò tempo faremo regine solo di una postazione per volta portandole a fecondare dalla postazione dove sono state prelevate le larve per fare le regine fase importante poi per alcune postazioni proveremo la differenza genetica visto l'area dove avviene la fecondazione per la presenza di più apicoltori nelle vicinanze  avremo una notevole diversità genetica................ad esempio sofignano faremo regine da larve e poi  fecondate lì come in postazione di migliana visto che una si adattata bene al luogo come quelle di gavazzoli mentre in pianura adotteremo una mescolanza genetica atta alla ricerca di regine che poi potremo provare nelle altre postazioni in modo da verificare la lorol adattabilità ad i diversi ambienti....................Questo sarà il  nostro programma apistico della nostra avventura apistica......lunga strada per arrivare ad avere i risultati con due fattori tempo e un pizzico di fortuna..................

Lupone mi spiegherai a voce ma secondo me basta non spostare sciami e mantenere i nuclei negli stessi apiari, come infatti io sto insistendo a fare da tempo a Sofi. Sono le regine dell'isola ricordi? Il ceppo è quello da diversi anni oramai.  

 

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Microplastiche ovunque: trovate anche sulle api

Redazione 3 settimane fa Notizie Lascia un commento 554 Visite

 

Le api sono sempre più spesso coperte di microplastiche, che raccolgono dall’aria perché volando i peli di cui sono coperte si caricano elettrostaticamente.

Se c’è una cosa che abbiamo imparato in questi ultimi anni a proposito delle microplastiche, minuscoli frammenti che derivano dalla frammentazione di prodotti più grossi e che costituiscono una delle più nuove e invasive forme di inquinamento ambientale, è che sono ovunque.

Non è polline… Le troviamo nel cibo, in mari e oceani, persino nelle nostre feci, e ora, stando a quanto si legge in uno studio pubblicato su Science of the Total Environment, anche su un insetto che ha già parecchi altri problemi, e che se potesse si eviterebbe volentieri di doversi preoccupare anche di questo. Parliamo delle api: sia quelle domestiche sia quelle selvatiche sono sempre più spesso coperte non di polline, ma di microplastiche.

La caccia alla microplastica è, tristemente, una delle attività di ricerca più diffuse degli ultimi anni. Frammenti di plastica di dimensioni inferiori a 1 mm (lo standard in base al quale si possono definire “micro”) sono stati ritrovati più o meno ovunque sul pianeta Terra, dai ghiacci dell’Antartide alle Galapagos. Il gruppo di ricerca guidato da Carlos Edo dell’università di Madrid ha voluto quindi mettere alla prova un’ipotesi relativa alle api, il cui corpo è coperto di peli che durante il volo si caricano elettrostaticamente: è in questo modo che trattengono il polline che raccolgono quando si nutrono, e lo diffondono nell’ambiente.

Sulle operaie. Questa stessa caratteristica dovrebbe, in teoria, trattenere anche altre particelle: per esempio le microplastiche, appunto. Per verificarlo, il team ha analizzato le api operaie (quelle che più si allontanano dall’alveare per esplorare) di 19 alveari in Danimarca – 9 nel centro di Copenaghen, gli altri 10 in periferia e nelle campagne circostanti – e ha trovato tracce di microplastiche ovunque.

Leggendo i risultati dell’analisi si scopre che una particella su sei tra quelle presenti sul corpo di un’ape è una qualche forma di microplastica: un frammento (derivato dalla disgregazione di un oggetto più grande) o una fibra (creata dall’uomo per avere quella forma). Il 52% di tutto il materiale rinvenuto, in particolare, è un frammento, mentre tra le fibre domina il poliestere. Non solo: è vero che, prevedibilmente, le api di città portano addosso più microplastiche rispetto a quelle di campagna, ma la differenza in termini quantitativi è minima, il che secondo gli autori è un segno dell’importanza del vento nella dispersione di questi inquinanti.

Che effetti avrà? In realtà, se è vero che lo studio ha identificato una grande varietà di microplastiche, è anche vero che non è stato possibile indicarne precisamente l’origine, né quale possa essere il loro effetto sulla salute degli insetti e su ciò che producono. Secondo gli autori, però, in attesa di saperne di più, lo studio delle microplastiche sul corpo di un’ape potrebbe diventare un valido strumento di analisi dell’inquinamento di un’area.

Di Gabriele Ferrari
Fonte: Focus

 

Nessuno strumento è in grado di fare una fotografia dell'ambiente come le api, purtroppo siamo alla deriva del Paradiso Terra......

che tristezza per le future generazioni.................

 

 

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  • 3 mesi dopo...

Ho tolto il questi giorni il miele di acacia. Erano anni che non ne raccoglievano. Era sempre fresco o piovoso nel periodo della fioritura, metà maggio. 
Quest’anno han raccolto.

Capisci quando c’è nettare abbondante e zuccherino dal profumo. L’acacia ha un profumo forte che arriva anche in città e ti trovi a sentirlo per strada mentre guidi e subito con gli occhi cerchi i fiori bianchi…. A Prato la ferrovia che scorre in città ha sulle scarpate cespugli o alberi di acacia. 
Altro bell’esercizio per un appassionato è mettersi a fianco delle arnie a seguire le traiettorie che fanno. 
Escono e salgono a cinque dieci metri, e poi partono nella direzione dei fiori che vanno a bottinare. E quando c’è una fioritura importante vanno tutte nella stessa direzione. 
 

Ieri sera le ho guardate una ad una per vedere come stavano.

Cerco di aprirle il meno possibile.

Tolto il miele di acacia ho trovato il miele di ciliegio nei melari sopra le casse, strano visto che è precedente ma non più di tanto. Era miele che avevano portato nel nido precedentemente, ed adesso per far spazio alla covata lo portano sopra, liberando spazio.

E’ interessante e appagante entrare nel loro mondo. Se si ha pazienza ed attenzione si impara ogni volta qualcosa. 
Ieri sera è stato bellissimo. 
 

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Ho tolto ieri il miele sicuramente di acacia vedremo quando smieleremo..................

il raccolto non tanto ma  c'è dopo che l'anno scorso a causa della gelata tardiva l'acacia fu completamente bruciata riusci  a fiorire  lo stesso perchè l'acacia ha tre genmme una centrale che è nettarifera e due che che fioriscono solo quando ci sono delle condizioni avverse per la prima ma con scarssima produzione di nettare da parte dei fiori secondari........... L'acacia che ha scarso contenuto di polline per farsi visitare dagli insetti produce molto nettare e in tal modo sopperisce alla sua scarsa quantità di polline attirando in questo caso gli insetti come le api..................anno 2011 vespaio quando avavano le api lassù fu una annata di acacia eccezionale a tal punto che le api lassù continuavano ad bottinare l'acacia che può arrivare ad  vivere fino ai 900 metri di altitudine e nonstante era già fiorito il castagno  le api continuavano ad bottinare l'acacia....................che annata fu 2011

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47 minuti fa, Lupo di Toscana ha scritto:

Ho tolto ieri il miele sicuramente di acacia vedremo quando smieleremo..................

il raccolto non tanto ma  c'è dopo che l'anno scorso a causa della gelata tardiva l'acacia fu completamente bruciata riusci  a fiorire  lo stesso perchè l'acacia ha tre genmme una centrale che è nettarifera e due che che fioriscono solo quando ci sono delle condizioni avverse per la prima ma con scarssima produzione di nettare da parte dei fiori secondari........... L'acacia che ha scarso contenuto di polline per farsi visitare dagli insetti produce molto nettare e in tal modo sopperisce alla sua scarsa quantità di polline attirando in questo caso gli insetti come le api..................anno 2011 vespaio quando avavano le api lassù fu una annata di acacia eccezionale a tal punto che le api lassù continuavano ad bottinare l'acacia che può arrivare ad  vivere fino ai 900 metri di altitudine e nonstante era già fiorito il castagno  le api continuavano ad bottinare l'acacia....................che annata fu 2011

Bei ricordi lassù col Moro Alessandra e Otello e tanti di voi… 

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