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Racconto di Natale


tyrnanog

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Devo sbrigarmi a raccontarvi tutto… il Natale si avvicina e, se attendo ancora, non rimarrà più tempo per salvare il loro mondo… come sarebbe “di chi”? … Oh, già… non ve l’ho detto, ma lo scoprirete presto!

Ma ora devo proprio raccontarvi ogni cosa, domani è il giorno del Solstizio d’Inverno; ciò significa che questa è l’ultima notte che trascorro insieme ai… beh, ma così salto subito alle conclusioni e non ci capirete nulla! No… no, devo mantenere la calma e andare con ordine; dunque…

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…c’era una volta… non… tanto tempo fa, o forse l’ho soltanto sognato, un uomo che passeggiava nelle radure del bosco, alle pendici dei Lagorai, osservando il brulicare di vita tra gli alberi e i cespugli.

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Era una calda giornata di mezz’estate e il ronzio delle api intorno ai fiori ovattava l’aria, spegnendo ogni altro rumore; com’era strano non sentire automobili in lontananza, o il suono stridulo e penetrante della segheria!

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Una fuggevole sbirciata all’orologio gli suggerì che il pranzo era quasi in tavola e che avrebbe dovuto affrettarsi verso casa, ma un ultimo sguardo a quelle formiche così indaffarate non gli sarebbe costato un gran ritardo.

Mentre si avvicinava ai minuscoli insetti che zampettavano sul Cirsio giallo, improvviso, uno strano torpore si impadronì di lui. Complice il calore della giornata estiva, l’uomo si sdraiò sull’erba e mentre chiudeva gli occhi, gli parve che il Cirsio, come per magia, si accendesse di una luce dorata e si curvasse su di lui per rischiararlo e proteggerlo; “uno stupido riflesso del sole”, pensò, si rigirò su un fianco e si addormentò.

Mentre il silenzio del bosco lo isolava dal mondo, all’uomo parve di immergersi in un sogno, e nel sogno si vide tramutato in un…

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Svegliatosi di soprassalto, vide un drappello di altri minuscoli ometti (che strano… ora gli parevano grandi come lui!) agitati e vocianti, tutti uguali, vestiti di verde e con un alto cappello a punta, che gli si accalcavano intorno invitandolo a seguirli nelle profondità del bosco.

Forse era l’occasione che attendeva da una vita per scoprire se veramente quei monti fossero abitati da creature fatate: Vivane… Anguane… il Salvanèl… come si narrava nelle leggende.

L’ospite venne accompagnato fino ad un piccolo villaggio fatato, al cospetto del Borgomastro che, vanitoso al pari di tutti i folletti, si era insediato stabilmente su di un ceppo tagliato di fresco e da lì, come da un pulpito, arringava i compaesani sciorinandogli ogni sorta di balzano pensiero gli frullasse per la mente.

Questo genere di “comizi” è molto in voga presso il Piccolo Popolo, soprattutto se nelle vicinanze spuntano famigliole di funghi. Particolarmente gradita, infatti, è la presenza dei chiodini: fanno pubblico e non fischiano all’indirizzo dell’oratore!

Naturalmente, per presenziare è d’obbligo il vestito delle feste, benché non tutti indossino anche le scarpe; le creature elfiche infatti odiano perdere il contatto con la nuda terra, perché è dalle sue vibrazioni che percepiscono la presenza dei pericoli che si celano negli anfratti del bosco.

Al di fuori di queste occasioni, tuttavia, sempre più folletti abbandonano anche gli abiti tradizionali per indossare…

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… sottilissime calzamaglie intessute con bava di ragno; molto più comode e moderne!

Tra i primi a pavoneggiarsi con la nuova moda furono i Picchiettanti, una piccola tribù che vive a Sottosassa, in un dedalo di minuscole gallerie sotterranee, e che deve il proprio nome al rumore incessante degli attrezzi con cui scavano, nelle profondità della roccia dei monti circostanti, riaprendo le antiche miniere e cavandone rame, ferro e persino argento.

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Ma il villaggio fatato di Boscampo, dove i folletti avevano accolto il nuovo amico, è costruito nel cavo di vecchi ceppi o nelle tane abbandonate dagli scoiattoli, che sono le dimore preferite anche dalle minuscole fate-lucciola, cosicché, durante il giorno, chiunque le vedesse sciamare da quelle piccole cavità le scambierebbe per vespe o api selvatiche e non si curerebbe di loro.

E proprio tra gli abeti di Boscampo, durante la notte, …

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… era spuntato un grande cerchio di Mazze da Tamburo, segno evidente che la Regina delle Fate aveva deciso di tenere Corte, per un giorno, proprio in quel luogo e ricevervi l’omaggio del suo popolo.

Non si sarebbe potuta presentare occasione migliore per fare conoscenza con la sovrana alla quale, seguendo il suggerimento del Borgomastro, l’ospite si presentò recando in dono un quadrifoglio. È risaputo, infatti, che i piccoli steli di quest’erba rara sono le “bacchette magiche” utilizzate dalle fate dei boschi per i loro incantesimi - da questo deriva la loro fama di portafortuna - ma appassiscono presto, e la loro efficacia si esaurisce a mezzanotte; perciò i folletti rinnovano giornalmente la propria offerta.

In segno di gratitudine e per rispettare la tradizione elfica, la sovrana impose allo straniero un nuovo nome, col quale sarebbe stato conosciuto solamente da coloro che appartengono al Piccolo Popolo; lo chiamò Tyrnanog, che nell’antica lingua significa “Terra della Giovinezza”.

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A sentir pronunciare quel nome il Borgomastro trasalì. Erano secoli che un nuovo ospite non veniva più nominato in quel modo; era infatti la parola con cui ciascun elfo descriveva il proprio Bosco Fatato, uno scampolo di paradiso perduto che, nonostante i suoi grandi alberi, antichi e immutabili, è capace di rinnovarsi e ringiovanire ad ogni primavera, sempre che gli uomini non ne facciano scempio!

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Il folletto squadrò l’ospite da capo a piedi con aria dubbiosa, poi gli spiegò che ogni qualvolta la regina impone quel nome ad uno straniero - ed era appena la terza volta che questo accadeva dalla notte dei tempi - significa che la natura si trova in un grave ed imminente pericolo. “Tyrnanog – disse – è un messaggero; a lui viene affidato il compito di risvegliare le coscienze degli uomini, cosicché riconoscano che la natura è più importante dei loro meschini interessi e si rendano conto che il bosco va rispettato, non deturpato!”

Era una missione difficile e, per essere in grado di portarla a compimento, Tyrnanog avrebbe vissuto per qualche tempo come ospite del Piccolo Popolo, senza contatti col proprio mondo; solamente il giorno del Solstizio d’Inverno, poco prima di Natale, avrebbe potuto fare ritorno alla propria casa. In tal modo sarebbe rimasto immerso nella natura finché non avesse imparato a vedere il bosco con gli occhi di un folletto.

In compenso, se accettava questa grave responsabilità, avrebbe ricevuto un dono, la cui natura tuttavia gli sarebbe stata rivelata solamente quando fosse giunto il momento giusto.

Ma occorreva far presto; affinché la missione avesse successo, il messaggero doveva assolutamente concludere il proprio viaggio prima che spuntasse l’alba della Vigilia di Natale. Fino ad allora, però, Tyrnanog avrebbe condiviso con i folletti le piccole, quotidiane gioie e tribolazioni del bosco.

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Tyrnanog scoprì che la giornata del Piccolo Popolo inizia molto presto, poco dopo l’alba, quando ci si reca di gran lena al torrente dove si attinge l’acqua per il fabbisogno quotidiano… e dove si dimostra la vera indole dei folletti; infatti, mentre le fatine… faticano… ad approvvigionare l’intero villaggio, i birbaccioni ne approfittano indolenti per schiacciare un pisolino, il primo di una lunga teoria che si concluderà solamente quando, al calar del sole, giungerà l’ora di… andare a dormire, …

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… quando però il Fungo-Fontana è pieno fino all’orlo, i folletti, animati da un improvvisa vitalità, accorrono in massa per dissetarsi.

Aguzzate bene la vista mentre camminate nel bosco; se vedete un fungo pieno d’acqua come questo, significa che vi trovate al centro di un piccolo villaggio fatato, così abilmente nascosto che ben pochi particolari ne tradiscono la presenza.

L’acqua infatti è preziosa per le fate, anzi…

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… è indispensabile per la sopravvivenza di tutti. Fate e folletti, infatti, possono vivere solo nei pressi di acque limpide e pure; per questo non ci sono più fate in pianura, dove ogni specchio d’acqua è ormai ridotto a poco più di una putrida fogna!

Il Piccolo Popolo tiene in grande considerazione il liquido tesoro; non lo inquina con scarichi e detersivi. Persino i colori, il verde dell’erba ed il rosso dei gigli, utilizzati per tingere i minuscoli vestiti, sono presi in “prestito” dalla natura, e ad essa faranno ritorno senza avvelenare la terra o il torrente. Certo, anche il rispetto per la natura comporta qualche piccolo cruccio; ad esempio, quando piove…

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